Viviamo la Messa: i Riti di introduzione Viviamo la Messa

Mettiamo in evidenza nei riti di introduzione l’ingresso, il saluto all’altare, il segno di croce, il saluto all’assemblea, l’atto penitenziale, la preghiera colletta.

Tutti i riti di introduzione mettono in luce un aspetto particolare non solo della liturgia che celebriamo, ma di tutta la nostra vita: arriviamo a messa da posti diversi, da case diverse, con impegni diversi vissuti nella giornata, e ci ritroviamo lì non per noi stessi ma perché c’è Uno che ci ha chiamati.

Siamo “chiesa” (che viene dal greco ek-klesia)  perché chiamati, o meglio, con-chiamati. Chiamati insieme a vivere quella Vita di Dio che Gesù ci ha mostrato venendo sulla terra. Nel nostro essere insieme si verifica ancora una volta ed in maniera speciale quella particolare promessa di Gesù “Dove sono due o più riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. I Padri della Chiesa, che sono come dei fratelli maggiori nella fede dei primi tempi della Chiesa, dicono che “nel mio nome” vuol dire “nel mio amore”.  Questo vuol dire che a Messa siamo chiamati a lasciarci abbracciare da quell’Amore che abbiamo cercato di vivere nella giornata, nella settimana, e disporci a viverlo in una maniera speciale attraverso la celebrazione liturgica, perché sappiamo che non si è cristiani da soli, ma assieme ad altri. Ma andiamo con ordine…

L’ingresso

Abbiamo appunto detto che la comunità radunata è segno della presenza del Risorto, e la liturgia che viviamo si inserisce in quella “liturgia” del Cielo che Gesù continuamente compie. Anche il sacerdote rappresenta Gesù che compie il suo ingresso. Ecco perché la processione di ingresso deve essere “festosa”, ecco perché, come si legge sul messale, «i candelieri e la croce si possono portare nella processione di ingresso. Sopra l’altare si può collocare il libro dei Vangeli  (n.79)… la croce portata in processione viene collocata presso l’altare o in un altro luogo adatto… i candelieri si depongono accanto all’altare o sopra la credenza» (34).

Tutti questi segni vogliono essere “segni della festa” che facciamo a Gesù presente in mezzo a noi.

Ovviamente non sempre è possibile assicurare un servizio liturgico di questo tipo con croce e candelieri, perché esiste un principio, cioè quello di una «solennità graduata», in base alle circostanze, alle situazioni, alle celebrazioni particolari. In ogni caso il canto festoso che accompagna l’ingresso, la processione del sacerdote e dei ministri e ministranti che lo accompagnano sono segno dell’ingresso di Cristo nella nostra vita e nella vita della comunità.

Il saluto all’altare

Leggiamo nell’introduzione al Messale un sottotitolo che dice «Saluto all’altare e al popolo radunato». Possiamo dire che il saluto all’altare è il “saluto al padrone di casa”. Leggiamo nella Bibbia che Gesù è il vero “altare, vittima e sacerdote”.  La liturgia, fatta di segni e simboli, ci fa accostare all’altare, luogo del sacrificio della mensa, come segno che si riferisce a Gesù.

«Giunti in presbiterio, il sacerdote e i ministri salutano l’altare. In segno di venerazione, il sacerdote e il diacono lo baciano» (27).

Il segno di croce

«Terminato il canto di ingresso, il sacerdote e tutta l’assemblea si segnano col segno di croce» (28).

Il segno di croce ci aiutare ad entrare dentro quella realtà alla quale Dio Padre ci chiama, per mezzo di Gesù Cristo, nello Spirito.

Entrare dentro quella realtà nella quale ci ha immersi il Battesimo, quella realtà d’amore che è la vita di Dio Trinità che, in qualche modo, possiamo vivere tra noi nella Chiesa che è mistero di comunione.

Entrare dentro, proprio come ci aiutava a riflettere sul segno di croce un grande teologo del secolo scorso: Romano Guardini.

Egli così scriveva: «Quando fai il segno della croce fallo bene. Non così affrettato,rattrappito, tale che nessuno capisce che cosa debba significare. No, un vero segno della croce giusto, cioè lento, ampio, dalla fronte al petto, da una spalla all’altra. Senti come ti abbraccia tutto?  Accogli in questo segno tutti i pensieri e tutto il tuo animo…E’ il segno della totalità e il segno della redezione. Sulla croce nostro Signore ci ha redenti tutti. Mediante la croce egli santifica l’uomo nella sua totalità, fino alle ultime fibre del suo essere».

Il segno di croce è segno di quell’abbraccio nel quale Dio ci prende e ci aiuta a vivere la nostra in Lui. Proprio come diceva San Paolo.

Il saluto all’assemblea

«Il Signore sia con voi». Con queste parole allargando le braccia il  sacerdote che presiede la celebrazione eucaristica saluta l’assemblea.

Il gesto di allargare le braccia approfondisce il significato profondo delle parole che dice. Con queste parole il sacerdote intende comunicare e far quasi vedere quell’abbraccio nel quale il Padre, nel Figlio, per mezzo dello Spirito ci accoglie fra le sue braccia.

Sul messale infatti leggiamo che «il sacerdote con il saluto annuncia alla comunità riunita la presenza del Signore. Il saluto sacerdotale e la riposta del popolo manifestano il mistero della Chiesa radunata». Chiesa radunata: perché Dio chi-ama uno ad uno ciascuno di noi a vivere la sua stessa vita divina, una vita d’amore, perché Dio Padre, Figlio e Spirito è Amore (cf 1Gv 4).

L’atto penitenziale

Perché il Signore sia in mezzo a noi non basta essere riuniti nel suo nome solo a parole. Occorre accordare i cuori perché la melodia della sua presenza possa risuonare. Ecco perché il sacerdote, quasi come un direttore d’orchestra, gradualmente all’inizio di ogni celebrazione sembra quasi aiutare ognuno dei presenti a entrare dentro, profondamente, la liturgia che si sta per celebrare. Abbiamo visto  che il saluto all’assemblea richiama tutti a questo abbraccio gratuito e paterno di Dio, ora con l’atto penitenziale vogliamo predisporci a fare spazio dentro di noi: “togliere” i pensieri, le situazioni che ci appesantiscono, quelle mancanze che hanno potuto far venire meno l’amore verso il prossimo e verso gli altri componenti della nostra comunità. Tutto questo per “far spazio” a Lui. Perché quella Parola, che è Lui, possa trasformare la nostra vita; perché quel Pane, che è Lui, possa rendere dono la nostra vita.

Il peccato è infatti come un uscire fuori dal raggio di luce che è la volontà di Dio su ciascuno di noi: essere amore, come Lui.  Con l’atto penitenziale vogliamo con l’aiuto dei nostri fratelli  ricominciare, rimetterci decisamente con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte la forze in quel raggio.

La colletta

Ancora una volta ritorna qui il segno dell’abbraccio. «Quindi il sacerdote invita il popolo alla preghiera, dicendo a mani giunte: “Preghiamo”. E tutti insieme con il sacerdote pregano, per breve tempo, in silenzio. Poi il sacerdote, con le braccia allargate, dice la colletta». (88).

Questa preghiera si chiama “colletta” perché intende quasi “raccogliere” tutte le intenzioni, i pensieri, le preoccupazioni di ognuno dei presenti. E’ il momento in cui il sacerdote, direttore d’orchestra, accorda con precisione gli strumenti. Infatti la preghiera “colletta”accorda tutte queste preghiere sulla frequenza della Parola del giorno, sul mistero che quel giorno viene celebrato. Infatti ogni preghiera “colletta” può essere considerata con una pillola che contiene in sé tutto il messaggio della liturgia di quella domenica.