Vogliamo conoscere meglio la Messa e viverla davvero, andando in profondità. Sappiamo bene che la celebrazione eucaristica, la Messa, ha dei momenti importanti, che al suo interno ci sono dei gesti e che ogni gesto apre ad un significato profondo; sappiamo che ci sono delle preghiere che annodano la parte più intima di noi in Dio e ci legano gli uni gli altri in Lui. Vogliamo, così, in questo breve percorso avventurarci insieme alla scoperta del “perché” che abita questo momento centrale della vita della comunità cristiana.
Alla celebrazione eucaristica siamo chiamati a partecipare con tutta la nostra persona. Quindi non solo con la testa ma con tutto il corpo. Noi siamo uomini e le nostre qualità spirituali si esprimono per mezzo del corpo così come, allo stesso tempo, quello che esprimiamo col corpo è espressione del nostro mondo interiore.
L’importante documento sulla liturgia del Concilio Vaticano II al n. 7 così scrive: «La liturgia è ritenuta come l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa la santificazione dell’uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi». Cioè vuole dire che non esiste una vera liturgia che non chiami in causa tutto il nostro essere: ad esempio l’odorato percepisce l’incenso, il gusto i doni consacrati del pane e del vino, il tatto l’acqua nel battesimo, l’occhio i colori e le forme, l’orecchio il canto e la parola. Non solo! Quando ci inginocchiamo o quando siamo in piedi, quando ci segniamo la fronte… a venire chiamato in causa è tutto il nostro essere.
La liturgia è fatta dunque di segni che parlano da sé. Anche le parole rientrano fra i segni: esse rendono udibili ed efficaci l’amore di Dio che si rivela e la risposta degli uomini a questo amore. Partecipare consapevolmente, attivamente, pienamente alla messa rientra dunque nel significato profondo stesso della Messa.
Alcuni anni fa, rivolgendosi ai ministranti, il card. Martini aveva detto che esistono tre categorie di ministranti:
La prima categoria è quella dei ministranti disattenti e distratti, che sbagliano; ma tra voi non c’è nessuno di questi, guardo intorno e… neanche uno.
Poi c’è la seconda categoria: i ministranti attenti e diligenti, che però fanno il loro servizio con una certa paura di sbagliare, e quindi non pregano, perché sono tanto attenti a non fare sbagli, che sono un po’ impediti nella preghiera.
E poi c’è la terza categoria, quella che piace a me, e io me ne accorgo quando vado nelle parrocchie: quelli che sono attenti e diligenti, ma hanno imparato così bene le cerimonie, che li vedo anche pregare, partecipare con l’intimo del cuore.
Come fare questo? Da un lato conoscendo, appunto, i “movimenti giusti” da fare sull’altare sapendo, d’altro canto, che questo non è possibile senza conoscere il perché profondo del mistero che celebriamo, dei gesti che compiamo, dei movimenti che facciamo.